Ore di attesa

Louise Knight Wheatley – Da L’Araldo della Scienza Cristiana – 9 marzo 2021

Originariamente pubblicato sul numero del 26 gennaio 1918 del Christian Science Sentinel.


L’essere in attesa di qualcosa sembra una caratteristica che accomuna l’umanità. Se qualcuno ne dubitasse, gli basterebbe scrutare le profondità più recondite del proprio cuore e vedere cosa vi si cela. Se fosse come per la maggior parte di noi, vedrebbe che da molto tempo aspetta che qualcosa accada o che cessi di accadere; che qualcuno faccia qualcosa o smetta di fare qualcosa; che qualcosa arrivi o che qualcosa se ne vada; che qualcosa, in qualche modo, da qualche parte, cambi in modo che le cose siano un po’ diverse da come sono adesso. Può trattarsi di un segreto di Pulcinella a cui tutti guardano con simpatia; oppure di qualcosa celato anche agli amici più intimi; può persino essere qualcosa di cui non è consapevole nemmeno lui; eppure sta lì, ogni giorno nei suoi pensieri, quel qualcosa che tarda, in cui spera e cui anela, solo con Dio.

In questo viaggio che conduce dalla schiavitù determinata dalle credenze materiali verso la luce e la libertà, siamo compagni di viaggio, in tutti gli stati e le fasi del progresso spirituale. Alcuni procedono rapidamente, altri lentamente, tutti stanno facendo dei progressi; ma per la maggior parte di noi arriva un momento, prima o poi, in cui la strada ancora da percorrere diventa improvvisamente così oscura e incerta che tutto ciò che sembra possibile fare è restare fermi e aggrapparsi saldamente alla mano del Padre. Tali momenti, in realtà, sono estremamente difficili, perché sono pochi coloro che hanno appreso la sublime verità dell’affermazione del famoso poeta: «Essi servono anche chi sta solo ad aspettare» (John Milton, N.d.T.). Alla mente mortale non piace aspettare; anzi, si oppone con forza all’attesa. Tenace nei suoi amati piani, irriconoscente per la correzione e risentita per il ritardo, vuole ciò che vuole immediatamente; e non ricevendolo, si abbandona all’impazienza, all’irritabilità e alla ribellione. Eppure l’attesa è qualcosa di davvero meraviglioso per colui che si è talmente elevato al di sopra delle nebbie dell’autocommiserazione, dell’auto-condanna e dell’arroganza da poter discernere la lezione che essa porta.

Dover aspettare e imparare ad aspettare sono due cose molto diverse. Tutti noi dobbiamo aspettare, chi più chi meno, e lo facciamo con più o meno grazia secondo i nostri diversi stati d’animo e in base alla quantità che possediamo di quella che viene generalmente definita «tolleranza umana»; ma è solo il vero grande ad aver imparato ad aspettare, colui la cui visione si è a tal punto purificata da permettergli di scalare le vette solitarie su cui si trova questa rara «stella alpina» dell’esperienza umana. A persone come lui, queste ore di attesa appaiono solo come piacevoli luoghi di riposo che si incontrano nel viaggio della giornata, momenti in cui poter girare attorno lo sguardo e cogliere scorci più chiari sui propositi onniscienti di Dio e per riconoscere con gioia la guida della Mente infallibile, il potere della Verità inalterabile e la presenza del ministero dell’Amore.

Colei che aveva imparato la lezione della pazienza come solo un altro prima di lei l’aveva imparata, una volta scrisse (Poems [Poesie], pag. 4):

«O dolce presenza, pace, gioia e potere; 
O Vita divina, che possiede ogni ora di attesa».

Allora se è la Vita, o Dio, a possedere queste ore, così come tutte le altre ore della nostra vita, come potrebbero essere colme di altro che di pace e gioia? Di certo il nostro modo di considerarle cambia quando pensiamo che proprio lì, in mezzo alla paura e al tremore, c’è solo Dio. Quando tutto è finito, e siamo di nuovo sulla buona strada, com’è dolce voltarsi verso qualche fertile oasi verde nella sabbia del deserto e rendersi conto che non era un errore, dopotutto, che ci tratteneva lì nella sua stretta implacabile, ma piuttosto la mano delicata e irresistibile dell’Amore, che ci imponeva di fermarci perché non avremmo potuto procedere in sicurezza finché non avessimo imparato la lezione.

Tutto questo sembrerebbe forse implicare che l’eterno «ora» della Mente divina non sia un fatto sempre presente e dimostrabile? Assolutamente no. Significa solo che, per il senso umano, non tutti i nostri pensieri sono sempre diretti all’obbedienza della legge del Cristo. Significa solo che con uno sforzo paziente, instancabile e incessante dobbiamo cercare di ristrutturare il nostro pensiero in modo tale che ogni concetto umano errato venga sostituito, nella nostra consapevolezza, dalla perfetta idea spirituale, di cui non è che la povera contraffazione. Non è sempre il lavoro di un momento, né di un giorno. Nessuno sa quanto presto sarà completato, «neppure il Figliuolo, ma il Padre solo». Sappiamo solo che se perseveriamo, verrà sicuramente il tempo in cui gli ultimi fragili brandelli di falsa credenza saranno spazzati via per sempre dai gloriosi e vivificanti venti della Verità.

C’è sempre il momento giusto per ogni cosa giusta, non dimentichiamolo mai; ma la cosa giusta fatta al momento sbagliato può facilmente diventare la cosa sbagliata. Non dimentichiamo neanche questo. Quindi, in considerazione di tutto ciò, come sarebbe se lasciassimo a Dio la scelta di quel tempo? Mary Baker Eddy una volta scrisse: «Secondo il mio calendario, il tempo di Dio e quello dei mortali differiscono. Il neofita è incline ad essere troppo veloce o troppo lento … Dio è la sorgente della luce, e illumina la strada di colui che è obbediente. I disobbedienti fanno le loro mosse prima che Dio faccia la Sua, o le fanno troppo tardi per seguirLo» (Miscellaneous Writings, pag. 117). Non è possibile che, magari del tutto inconsapevolmente, vogliamo essere noi a decidere la mossa che riteniamo che Dio dovrebbe fare, per poi chiederci perché ci faccia aspettare tanto a lungo prima di farla? Analizziamo il nostro pensiero e vediamo in che misura potremmo aver delineato noi questo nostro problema che sembra così ostinato. Quanto abbiamo immaginato nella nostra mente che una certa cosa debba accadere prima che il fine desiderato possa essere raggiunto, che una tal persona debba fare una tal cosa o quell’altra debba fare qualcos’altro, prima che il nostro problema possa essere «risolto»?

La preghiera che delinea un modus operandi specifico non è affatto una preghiera, per come è intesa nella Scienza Cristiana. Supponiamo di smettere di aspettarci che accada una cosa specifica e di iniziare a renderci conto che nell’universo perfetto di Dio non deve mai accadere nulla per realizzare l’armonia, perché l’armonia è già un fatto stabilito. Non dobbiamo cambiare qualcosa, o fare qualcosa, od ottenere qualcosa, per rendere l’uomo perfetto, perché lo è già, per decreto divino. Il lago di montagna non ha bisogno di un aiuto esterno per riflettere le bellezze del cielo, delle nuvole e del pendio boscoso. Tutto ciò che deve «accadere» è che resti immobile.

La nostra Leader dichiara: «Attendete pazientemente che l’Amor divino si muova sulle acque della mente mortale e formi il concetto perfetto» (Scienza e Salute con Chiave delle Scritture, pag. 454). Questa quiete, tuttavia, che attende pazientemente l’Amore, non è affatto sinonimo di quella pigrizia mentale che sta con le mani in mano e cade in un letargo impotente. C’è un’attesa passiva e un’attesa intensamente attiva. Un sonnolento mezzogiorno estivo, con ombre immobili e del bestiame che sta pigramente all’ombra di alberi sui quali nessuna foglia si muove, può ben essere definito un tipo di attesa passiva. Non si cerca nulla, non si desidera nulla, non si aspetta nulla; è tranquillo semplicemente perché non c’è niente in particolare che lo muova. Ben diversa è la quiete dell’uomo che siede sulla cima di una montagna all’alba e guarda il sorgere del sole. Aspetta qualcosa che sa che sta arrivando. Non un suono altera il silenzio perfetto, non una foglia si muove, non si sente ancora alcun cinguettio di uccello; la figura solitaria stessa è immobile; eppure tutta l’aria è colma del silenzio sospeso in gioiosa attesa.

Non dovremmo aspettarci la venuta del Cristo, Verità, con la stessa incrollabile fiducia con cui l’alpinista attende l’alba? Nuvole scure possono ancora avvolgerci, e la notte può davvero essere sembrata senza una stella. Se, tuttavia, come fa lui, aspettiamo con calma e fiducia, dopo un po’ il canto di speranza di un uccellino spezzerà la quiete, le foglie inizieranno a ondeggiare e un debole rossore trasformerà presto le nuvole in rosee bellezze mentre si diraderanno una ad una dolcemente per fare spazio alle glorie del sole nascente.